martedì 28 novembre 2017

Le parole che non dirò

Non te lo dirò che appoggiare la testa sul tuo petto e sentire il tuo cuore mi tranquillizza. Non ti dirò che scriverti mentre faccio colazione mi fa venire voglia di svegliarmi accanto a te, né che quando mi stringi forte mentre facciamo l'amore io mi sento a casa. Non ti dirò che inizio a non poter fare a meno dei tuoi consigli, delle tue stranezze, del modo in cui curvi le spalle quando un pensiero ti tormenta. Non ti dirò che adoro l'espressione smarrita che fai quando non capisci se scherzo o sono seria, e non ti dirò che a volte ti guardo mentre sei assorto e mi sorprende e mi spaventa quello che provo, né che amo la curva del tuo naso che ormai mi è familiare. Non ti dirò che mi fai ridere, che mi preoccupo per te, che ogni volta che pronunci la parola "relazione" io ho un fremito. Non ti dirò che quando sorridi lo fa anche il mio cuore, e che non riesco a prendere sonno se non so che sei a casa. Non ti dirò nulla perché non ne sono capace, perché mi atterrisce pensare a cosa potresti rispondere, perché lo so quanto sei confuso e premuroso e non potrei sopportare l'idea di aver condizionato il tuo futuro, anche solo per un secondo. Non te lo dirò perché ogni volta che uno di noi due fa un passo avanti tu ti ritrai, lo fai anche se non ne sei consapevole, e mi lasci lì a pensare se lo fai per timore o perché io non sono per te che un'avventura; non ti dirò nulla, e mi ritrovo qui a contare lacrime e parole che non ti ho detto e non ti dirò, vile e scema come sono, perché tu sei giusto ma il momento non lo è, nonostante le stelle, il vino, i tuoi baci e le passeggiate sotto alla pioggia che iniziano a piacermi anche se ho sempre odiato camminare mentre piove. Tu devi andare, lo so, lo sapevo dall'inizio, e mi maledico per averti fatto spazio nel mio cuore e tra le mie braccia, perché il futuro mi spaventa, perché mi terrorizza pensare che non potrò abbracciarti quando vorrò. Non ci siamo mai dati un nome, anche se ne avrei bisogno, e non saprai neanche questo, non ti dirò mai che a volte vorrei solo che tu mi dicessi che sono importante, perché io non lo so.

Stay with me, let's just breathe...

Peynet

domenica 10 settembre 2017

Di stelle e pianeti

L'Universo, tutto, è in un certo qual modo collegato, come direbbe qualche filosofo laureato in astronomia. Io non saprei confermare la cosa, e neanche ci provo a spiegare i misteri dell'Universo, non io che citando Caparezza: "è già tanto se mi cambio le mutande".

Però una cosa è certa: nella vita di tutti i giorni troppo spesso vedo delle strane coincidenze che mi fanno pensare che in un certo qual modo c'è della sintonia in ciò che si verifica nello Spazio che ci circonda e nei rapporti umani.

Siamo tanti, troppi. Piccoli e grandi pianeti ruotanti intorno a tante, troppe, piccole e grandi stelle. Ci danno luce, l'energia necessaria per vivere, per andare avanti. Senza la loro attrazione, saremmo mine vaganti nello Spazio profondo e desolato. Saremmo soli, completamente soli. Non Soli, ma soli: a tutti piacerebbe essere stelle, ma essere portatori di luce, nei rapporti umani, è qualcosa che varia col passare del tempo e delle situazioni. Siamo i pianeti di qualcuno, e le stelle di altri. E viceversa. Dinamici sistemi solari in cui si nasce pianeti di qualcuno e si finisce col diventare stelle di altri. Se si è abbastanza bravi e si ha l'energia necessaria per farlo.

Già perché i pianeti sono cose delicate: dandogli troppa energia, si finisce col bruciarli, rendendoli inesorabilmente dei mondi comandati da calore e chissà quale altro intruglio chimico in cui la Vita "come la intendiamo noi" è qualcosa che non ha possibilità di essere. Dando troppa energia ad un pianeta, finiamo con il renderlo arido. Al contrario, aumentando le distanze e diminuendo le energie, si finisce col rendere un pianeta freddo, completamente inospitale e incapace di favorire qualsiasi focolare di Vita.

L'unico modo per rendere un mondo ospitale è dargli la giusta quantità di energia: non opprimerlo, né farlo sentire solo. E spesso non basta neanche. E' una cosa davvero complicata che non sto qui a spiegare, anche perché probabilmente non saprei neanche farlo per bene. Non sono un tipo studiato, io.

Sono solo un piccolo pensatore che crede che nel mondo ci debba essere, nelle cose e nelle persone, il giusto equilibrio affinché le cose e le persone funzionino. E forse voi che leggerete questo post, non ci troverete neanche niente di nuovo, ma a me piace ricordarvelo. Non sono né un filosofo, né uno scienziato: forse, sono solo un sognatore.

Non bisogna confondere scienza e filosofia. Ma alla gente non devi mai togliere la possibilità di sognare...


venerdì 25 agosto 2017

Quello che non sapevo di me

Ci sono delle cose di me che non sapevo.
Non sapevo ad esempio che un giorno avrei iniziato a passare intere notti insonni, divorata da pensieri ossessivi che mi impediscono di chiudere occhio.
Non sapevo che un giorno avrei smesso di piangere per amore, e avrei iniziato a reagire ad ogni delusione con rabbia e non con plateale disperazione.
Non sapevo di essere una cinica romantica disillusa dall'amore che spera ancora di invecchiare con qualcuno, e questo mi sta un po' in culo.
Non sapevo che sarei diventata responsabile senza perdere la capacità di essere la persona più scapestrata del globo, quando serve.
Non sapevo che un giorno una paura irrazionale e incontrollabile mi avrebbe fatta prigioniera, e quando poi è successo non sapevo e non speravo che l'avrei un giorno dominata.
Eppure ce l'ho fatta, ho iniziato a vivere la mia vita da sola e mi sono scoperta, sono cambiata, in meglio o in peggio non saprei, ho fortificato il mio pensiero, mi sono amata, ho messo da parte la mia naturale misantropia.
Ho fatto altre scoperte su me stessa che mi hanno sconcertata, e altre ne farò, ho dimenticato cose che reputavo fondamentali e ne ho imparate altre.
Credo si chiami crescere, ma non lo so con certezza, sono ancora tante le cose che non so.

mercoledì 2 agosto 2017

Vorrei tanto poterti dire...

E adesso chi glielo dice?

Chi glielo dice che ho paura di questo mondo che non è altro che un labirinto pieno di violenza?

Che a trovarla attraente non sono solo io, ma che il mondo a volte la guarda in un modo che a me non piace quando lei si fa bella per me?

Vorrei semplicemente evitarle il peggio, proteggerla dallo schifo di ogni giorno, dal maschilismo che regna il mondo. Dal fatto che qualcuno possa sentirsi in diritto di aprire bocca, solo perché dotato di testosterone e presunta virilità.

C'è chi, nel mondo, trova soluzioni estreme facendole passare per religione. Chi adotta compromessi basati sul nulla, chi si finge 'per bene' pur non avendo il coraggio di osare. Il coraggio di amare.

Ma le farfalle, devono poter volare in libertà, finché possono. E la fiducia, quella non deve mai mancare.

Vorrei dirti alle volte di starcene da soli, solo per evitare di vedere che il mondo possa pensare che sei facile perché sei bella: tu, che ai miei occhi sei bellissima nella tua estrema semplicità.

Posso solo sperare che il mondo si accechi al tuo passaggio, che non osi spingersi oltre come fa spesso ormai. Spero che ogni uomo possa trovare sempre il suo lato femminile guardando i tuoi occhi chiari, il tuo sguardo sincero. Che si dimentichi gli istinti, la rabbia, il desiderio di controllo.

E spero di riuscire sempre a tenere sempre coperto col burqa quel lato maschile di me, che vorrebbe sempre proteggerti dagli sguardi indiscreti di chi pensa tu possa essere un oggetto. Di difendermi dalla paura, di ritrovare sempre il coraggio di fare qualcosa in più per fare in modo che quegli sguardi rimangano ignorati, a differenza del mio.

Perché questo mondo sa essere un brutto posto, ma tu sei bellissima così come sei...

Kings of Leon - Pyro




giovedì 27 luglio 2017

In equilibrio precario

Ed eccomi qui, di nuovo disoccupata.
Ormai è una condizione così frequente, nella mia vita, da essere diventata la normalità: è più strano per me essere produttiva che stare a casa a inviare CV, scrivere cose che non farò leggere a nessuno, impegnarmi nello studio e cucinare.
La precarietà lavorativa diventa precarietà esistenziale, si è sempre in equilibrio tra la voglia di indipendenza e la difficoltà a realizzarci, poterci mantenere, vivere dignitosamente del nostro lavoro. Questo non è un paese per giovani, e io sono troppo vile per fare le valigie e partire, ma forse non è mancanza di coraggio, ma amore: amore per le mie colline, per la famiglia, per gli amici; a volte mi sento terribilmente in colpa per la mia incapacità di lasciarmi tutto alle spalle e partire in cerca di fortuna, altre volte mi dico che forse ci vuole più fegato a restare e lottare, ma è davvero così o mi sto giustificando? E poi, ne vale la pena, di soffrire e combattere una guerra che forse siamo destinati a perdere?
Non lo so, non so nulla ora, ad eccezione dell'ovvio: sono di nuovo senza lavoro, mi devo reinventare per l'ennesima volta, sono ancora in equilibrio sulla corda, non posso scendere a terra, mi tocca aprire le braccia e cercare di non cadere, e ce la farò anche stavolta, ce la faccio sempre.

sabato 8 luglio 2017

Il mio vestito non significa che sono disponibile

Ho un fisico prorompente, lo so. Sono una donna sensuale, so anche questo, e mi piace esserlo, mi piace indossare un abito che mi valorizzi e i tacchi alti, mi fa sentire sicura di me. Mi piace sentirmi sexy, carina ed in ordine, non mi piace assolutamente sentirmi preda, essere oggetto di commenti inappropriati, saluti inopportuni e fischi, seguiti da richieste di rispondere, come se fosse un obbligo. Perché no, non sono a vostra disposizione, non sono tenuta ad accettare che mi gridiate dietro ogni genere di oscenità, non devo rispondervi ed essere gentile con voi, voglio solo andare in giro per la strada senza sentirmi come un pezzo di carne nel bancone della macelleria. Non mi lusinga camminare da sola e dover abbassare lo sguardo per paura di risultare troppo provocante, non mi fa sentire apprezzata sapere che indugiate con lo sguardo sul mio sedere e lo commentate tra di voi, tra una birra e l'altra fuori dal bar dove sostate in attesa dell'ennesima donna da molestare, perché è questo che fate, ci molestate, ci fate sentire in pericolo, ridotte a corpi da commentare e magari da avere, anche senza il nostro consenso, giustificando chi ci usa violenza con un orrendo "ce la siamo voluta", solo perché abbiamo l'ardire di camminare liberamente indossando un abito corto, o andiamo fuori a bere, o semplicemente siamo donne, voi siete uomini ed è un vostro diritto, e tanto basta, no?
I 150 mt che separano l'ufficio in cui lavoro dalla fermata del pullman sono uno strazio, una gogna, difficili da sopportare anche in pieno giorno: mi sento in colpa, a volte, quasi sbagliata nei miei abiti corti e sui miei sandali alti, ed è questo che odio più di tutto il resto, odio sentirmi in difetto quando siete voi quelli che dovrebbero vergognarsi.

mercoledì 14 giugno 2017

Il decalogo del tifoso che (non) hai trovato allo stadio


Ebbene si, il Benevento Calcio è in Serie A!!!

(Squilli di trombe e Alleluia del coro gregoriano di turno)


Per chi non lo sapesse, e sembra quasi impossibile per un abitante della provincia sannita, finalmente il Benevento è riuscito nell'impresa di conquistare la massima serie calcistica per la prima volta nella sua storia. Battuto il Carpi ai play-off, e forti del pareggio nella partita d'andata, la città ha potuto festeggiare fino a notte fonda la meritata e agognata promozione. Quasi 20.000 anime hanno riempito con voce, cuore e colori, gli spalti del Ciro Vigorito, per permettere così alla nostra città di raggiungere un obiettivo unico e, alla vigilia, improbabile da perseguire.

Ora, non voglio tediarvi con discorsi riguardanti l'aspetto tecnico della faccenda, ma piuttosto, essendo un frequentatore dello stadio, mi sono voluto cimentare in quello che secondo me è il decalogo del tipo di tifoso che (non) hai trovato allo stadio giovedì. Tenetevi forte.

1. L'Ultras

Di sicuro questa tipologia di tifoso non te la sei trovata seduta affianco, a meno che non sia tu stesso un ultras. E' risaputo che gli ultras occupano la parte centrale della Curva Sud, hanno il biglietto (se ce l'hanno) messo da parte dalla ricevitoria già da prima che i biglietti vengano stampati, e soprattutto cantano. Sempre. Non smettono di cantare neanche in giro per il corso Garibaldi. Loro, sciarpetta rigorosamente legata alla vita a mò di cintura, alzano le mani al cielo e, mezzi ubriachi, 'anna cantà!'.
Perché se non canti non sei tifoso, e se non sei tifoso non rappresenti la città. E se non rappresenti la città non sei orgogliosamente beneventano e se non sei orgogliosamente beneventano, vuol dire che non sei un sannita. E se non sei un sannita, vuol dire che non sei un gladiatore, e se non sei un gladiatore non vinci la battaglia contro i leoni e i romani. Poi si svegliano tutti sudati e capiscono che sono passati un paio di migliaia di anni da allora.
Il calcio per l'ultras rappresenta in chiave moderna una guerra a tutti gli effetti, fatta di bombe a mano artigianali nel tentativo di incutere timore agli avversari e sciarpette sventolate al cielo come il nunchaku di Bruce Lee.
Poi quando vai allo stadio e c'è la tifoseria ospite, dopo aver assistito sui social a frasi violentissime e sfottò in cui escono sempre in mezzo mamme e sorelle, ti rendi conto che più che una guerra è una sorta di battaglia freestyle come quella dei rapper, soltanto che si fa in coro. E sui gradoni. Niente mazzate, niente mamme violentate o sorelle sverginate, perché il massimo che puoi ottenere al giorno d'oggi è qualche manganellata ben assestata del poliziotto di turno. Se sei particolarmente fuori di melone.
Per le precedenti manganellate...
Gli ultras sono contrari a tutto: alla tessera del tifoso che poi puntualmente sottoscrivono e soprattutto agli occasionali. Quelli proprio non li possono vedere, salvo poi invitare la cittadinanza alla partecipazione di massa. In fondo sanno contare: si rendono conto pure loro che 20.000 is megl che uan!

1b. Il capo Ultras

Lui la partita non la vede. Viene allo stadio per guardare dal lato sbagliato del campo, cioè verso le gradinate. Me lo sono sempre chiesto senza risposta, ma spero proprio non paghi il biglietto. Lui non indossa maglietta, è scritto sul CCNL dei capi ultras. Pure se la partita si gioca il 27 gennaio e allo stadio ci sono -12°. Eroe.

2. L'abbonato

L'abbonato è una figura variegata. Età media: 40 anni. I 20enni in Curva, i 60enni nei distinti. Sono vecchie glorie ultras ormai in pensione oppure nuove leve, o semplicemente appassionati di calcio e innamorati della squadra. Loro la partita la vedono, non cantano. Ne fanno un'analisi tecnico-tattica sconcertante. Ricordano le formazioni a memoria dal 1929 e sanno tutto di tutto sulla squadra in campo, comprese mamme, sorelle dei giocatori, e quello che hanno fatto la sera prima. Non si perdono una partita neanche se li minacci di morte o se si sposano. Ogni volta che segna un gol il Benevento, si ritrovano abbracciati allo sconosciuto di turno, e se non vanno in trasferta la partita la vedono in streaming su un sito rumeno o, per i più fortunati, su Sky. Sta di fatto che in un modo o nell'altro loro ci sono, costi quel che costi. Del resto, l'abbonamento lo hanno fatto pure per risparmiare: se si perdono troppe partite, poi non ne vale la pena.

3. L'occasionale

Ovvero l'antitesi dell'ultras.
L'occasionale è quello che oltre al Benevento Calcio ha anche una vita sociale. Nel week end gli piace farsi le gite fuori porta, le partitelle a pallone con gli amici, le grigliate in famiglia. Segue il Benevento tramite live score, non ne fa una tragedia se perde, è sereno se vince. Ogni tanto, magari libero da altri impegni, fa una capatina allo stadio e va tranquillamente a vedere la partita, con un orecchio dedicato ai campi di serie A. Si fa qualche selfie con gli amici, chiacchiera amabilmente e non si avvelena. Per lui, il calcio è uno spettacolo al quale assistere, come un musical, un concerto o uno spettacolo teatrale. Niente guerre, nè urla, nè cori. Solo sport. Ovviamente nelle partite di cartello ruba il biglietto all'abbonato di turno perché ha gli agganci giusti, e per questo viene odiato da tutti. Mica per altro.
Conosce i giocatori più importanti e puntualmente li critica se la squadra perde. I giocatori che non conosce, li chiama per numero di maglia.

4. Il festaiolo

Questa categoria l'hai trovata allo stadio per un motivo ben specifico: c'è la possibilità di fare caciara, perché perdersela. Si è fatto otto ore di fila per un biglietto, perché riempire la sua pagina Facebook e Instagram con selfie dai gradoni, o foto della Curva, fa comunque prendere un botto di like. In realtà è una pecora che va allo stadio solo per sentirsi integrato, per poter parlare con gli altri di qualcosa o semplicemente per avere un motivo banale per tornare a casa ubriaco ed essere giustificato. Di quello che succede nel campo, se ne frega poco. Allo stadio ci va per fare acchiappanza, o semplicemente per farsi vedere. Domanda alla Fantozzi 'chi ha fatto palo?' oppure chiede al vicino di turno 'quali sono i nostri?' perché ovviamente non conosce nemmeno i colori sociali. Lo hai visto a Piazza Risorgimento con un cocktail in mano, un gagliardetto rubato e cellulare nell'altra mano pronto a fare foto a sè stesso o al mondo intero. Diretta Facebook o Instagram obbligatoria.
L'unico aneddoto che conosce sul Benevento Calcio è relativo alla sconfitta casalinga col Crotone: quel giorno si entrava addirittura gratis!
E il Presidente si è venduto la partita.

5. Il lavoratore

Questa categoria dovrebbe essere l'antitesi dell'ultras, ma nessuno se ne è accorto e quindi tutti odiano gli occasionali. I lavoratori sono quelli che non solo non sono minimamente appassionati al Benevento Calcio, ma hanno pure la faccia tosta di lucrarci sopra, facendo credere al mondo di essere tifosissimi e appassionati sostenitori, solo per raccogliere qualche like pubblicitario dalla gente talmente esaltata dalla Serie A che mette like (o compra) a qualsiasi cosa giallorossa. Compresa la carta del cesso. E allora vedi schiere di negozianti che si dichiarano tifosissimi dal primo momento, quando a stento sanno dove si trova lo stadio. E se lo sanno, vengono allo stadio e li vedi continuamente sul cellulare a fare la cronaca in diretta di quello che succede sul campo, accompagnando il tutto con il nuovo gadget giallorosso appena diventato disponibile. E così via fotografi, gioiellieri, ristoratori si reinventano tifosi giusto per cercare di trovare clienti. Poi magari decidi di provare un ristorante perché in fondo vedendo l'annuncio, ti dici che il proprietario per essere tifoso del Benevento Calcio, deve essere proprio una brava persona! E così vai lì e non trovi neanche mezza bandiera o un gagliardetto e se gli chiedi di Bagadur, magari ti risponde pure che di cucina africana proprio non ne capisce...

6. Il moralista

Questa categoria è bellissima: ha sperato, in fondo, che il Benevento Calcio perdesse per poter salire sul carro della morale e giudicare tutti dall'alto della sua saccenza. Avrebbe potuto così dirti che il calcio non è più uno sport, che ci sono problemi più importanti e che tutto ciò che il popolo sa fare è essere triste o esaltato 'per undici giocatori che corrono dietro ad un pallone'! Che Vigorito si è già venduto la finale col Crotone, e che quindi fosse scontata la sua teoria che il Presidente in Serie A non ci vuole andare.
Ecco, ci hai provato. E hai festeggiato ugualmente salendo sull'unico carro disponibile: quello del vincitore.

7. Il pensionato

Anche lui si è fatto otto ore di fila per prendere i biglietti. E lo ha fatto per un semplice motivo: i nipoti. A lui avrebbe fatto piacere godersi la finale come l'andata a Carpi, comodamente seduto sul divano di casa, con un bel caffè davanti e dopo aver digerito la cena delle 19.15! E invece la moglie lo ha costretto ad andare allo stadio e portarci i nipotini perché 'non succede, ma se succede quando ricapita che e criatur vedono uno spettacolo del genere?! Va e puort't pur a lor!'. Sul gol di Puscas, si è ritrovato abbracciato affettuosamente dall'abbonato di turno e quando ha ripreso i sensi, ha dovuto pure tenersi l'ansia di un nipotino che puntualmente per un attimo si era perso nella marmaglia di gente accatastata una sopra l'altra. E da cui il nipotino ha fatto capolino, con buona pace del bypass appena evitato.

8. L'avellinese

La Serie A l'ha vista solo tuo papà. E ben ti sta!

9. (Che poi sarebbe la decima) Io

Beh si, io faccio categoria a parte. Sono anni che non vado allo stadio e non ci vado per diverse ragioni. Una delle più importanti è che sono contrario alla violenza, e allo stadio riuscivo spesso ad appiccicarmi con la gente per la minima questione. Non sopportavo più i "Vigorito vattene", le opinioni tecnico-tattiche lanciate a cazzo di cane dal carpentiere di turno (con tutto il rispetto per la categoria), e non sopportavo neanche la calca nelle partite importanti, quando poi il campionato di C2 lo vedevamo i soliti mille. Non sopportavo più i cori contro gli occasionali, i cori contro le tifoserie avversarie, di cui non riuscivo a distinguere i volti nè le fattezze. Di cui non sapevo la storia. Non sopportavo l'orgoglio sannita e l'amore per la città sbandierato per una partita di pallone, quando poi i 'Vigorito vattene' li vedevo puntualmente scritti imbrattando chissà quale muro di chissà quale palazzo pubblico. Non sopportavo il protagonismo: l'eterna convinzione della gente che la tifoseria possa influenzare in qualche modo il cammino di una squadra in un campionato. Ho sempre creduto nel fattore campo, ma le promozioni si conquistano con la sinergia di diversi fattori e con i soldi. Tanti soldi. Non sopportavo le critiche spesso gratuite ai giocatori, che per quanto ben pagati fanno solo il loro lavoro. Critiche che poi arrivavano da gente che non ha mai lavorato e chissà come cazzo si guadagna da vivere.

Ecco, io che non sopportavo e non sopporto tutte queste cose, allo stadio non c'ero. Ero a fare turno a lavoro, esattamente come il 30 aprile 2016, giorno in cui il Benevento Calcio è salito in Serie B.
E giuro che me lo ricordo, non sono andato su Google a cercare la data come avrebbe fatto il 50% delle persone che allo stadio quel giorno c'erano.

Ho amato quei colori, e li seguo tuttora, ma da lontano. Sono stato felice per la cittadinanza, per le persone coinvolte e per i giocatori e il Presidente. Ho passato la notte a vedere i cortei, le bandiere e gli striscioni per strada mentre io ero prigioniero volontario a lavoro. E un po' lo ammetto, non ho cambiato turno stavolta anche per una sorta di scaramanzia. Ed è andata bene.

E così sono io l'unico(?) beneventano che non c'era in nessuna delle due feste. E che in fondo raggruppa esattamente tutte le categorie sopra citate.

Angelo Del Vecchio - BN Calcio Anthem 2013/14

domenica 11 giugno 2017

Coazione a ripetere

Tra i tanti difetti che ho, e ne ho davvero tantissimi, il peggiore è la tendenza a fare sempre le stesse cazzate. Mi ubriaco, sto male e prometto che non berrò più, e poi il sabato successivo bevo il doppio. Mi bocciano all'esame di teoria ed invece di studiare tento di nuovo la sorte. Mi infilo in situazioni di merda, soffro come un cane, ne esco a fatica e poi ci ricasco, e quando ne riesco di nuovo mi dico che non voglio trattare il cuore come una puttana, che è arrivato il momento di fregarmene e smetterla di illudermi che chi nasce idiota possa diventare l'uomo perfetto, però poi finisco sempre nel bagno a piangere sui cocci della mia anima fatta a pezzi.
Si chiama coazione a ripetere, aggravata dalla propensione a fare sempre peggio. Il punto è che io non vivo con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto sul futuro, ma in un loop, mi condanno a fare sempre le stesse cose, non imparo dai miei errori, non cresco. Non sono indulgente con me stessa, quando realizzo il macello che sto combinando: mi macero nei sensi di colpa dandomi della cretina e perdendo ancora di più lucidità, fino ad arrivare ad un punto di non ritorno in cui l'istinto di sopravvivenza ha la meglio sulla spinta autodistruttiva che è mia compagna fedele da tutta una vita. È questo il punto, io non so come si fa ad essere felici, trasformo la mia vita in un dramma da operetta ridicolo ed imbarazzante, trascino nel baratro della disperazione chi mi è accanto e cerca di aiutarmi, sbaglio e chiedo scusa, m'incazzo con me stessa e faccio altre cazzate per anestetizzare il dolore perché ho troppa paura di tirare via il dente marcio, quella sensazione perenne di non essere abbastanza, di non meritare abbastanza, quell'amaro in gola che non va via nemmeno dopo 5 tequila e che mi fa credere che il mio destino sia farmi a pezzi ogni volta. Ma il destino non esiste, lo so bene, tutto quello che mi accade lo voglio io che non ho sufficiente forza di volontà per allontanare chi sta per ferirmi, perché sì, io mi faccio malissimo ogni volta. Dovrei usare la testa ed il cuore, farli lavorare in sincronia e lasciare che siano loro a guidare le mie azioni, e non un cazzo di istinto ferino e malevolo che mi spinge a tuffarmi nelle acque gelide, dovrei chiedermi se sarò in grado di sopravvivere, dovrei spezzare quel circolo vizioso in cui mi crogiolo, smetterla di illudermi, iniziare ad amarmi davvero. Domani lo farò, e non sto tergiversando, domani lo farò davvero, lo devo a me stessa, e lo farò. Uccidi il bastardo, uccidi la colpa, uccidi gli errori e rinasci, sii la versione migliore di te. 

domenica 4 giugno 2017

Prova costume? Fatela voi!

Odio questo periodo. Fa caldo, le zanzare iniziano a tormentarmi, la gente non si lava, e in tv, sui giornali e sui social è un continuo martellamento con l'imminente prova costume. Che poi, prova de che? Ma che è, un esame? Dobbiamo studiare per andare al mare a mettere i piedi in ammollo ed abbronzarci? Dobbiamo fare le nottate sbronzandoci di caffè? E se non passiamo l'esame? Rimandate a settembre?
Ci avete rotto il cazzo!
Ci avete rotto il cazzo con i vostri parametri basati esclusivamente sull'aspetto, coi giudizi ed i commenti cattivi. Troppo magre, troppo grasse? Fatti nostri. Perché non ci chiedete piuttosto se siamo felici, soddisfatte, realizzate? Perché invece di misurare i cm di coscia non tenete il conto dei nostri sorrisi, delle nostre lacrime e dei sacrifici che facciamo per vivere la vita come vogliamo? Perché continuate a catalogarci come bestie ad una fiera? Ma poi, vorrei sapere, davvero qualcuno quando è in spiaggia passa il tempo a scrutare le pance altrui?
Perché per fare una cosa normale come andarcene al mare dovremmo adeguarci a criteri decisi da altri? Dovremmo negarci il piacere di spogliarci e farci baciare dal sole e dalle onde solo perché il nostro corpo non piace a voi? Ma perché, chi cazzo siete?
Vi svelo un segreto: le taglie sono una convenzione, un modo per dividere i vestiti e permetterci di trovare al volo quello fabbricato per accogliere le nostre forme, e a me le convenzioni non piacciono, a dirla tutta mi fanno proprio schifo, per cui la prova costume per entrare nel bikini striminzito Size 0 fatela voi, io ho sfide più importanti da vincere.

mercoledì 31 maggio 2017

Con i piedi in una pozzanghera

Dovrei trovare chi si prenda cura di quella parte irrequieta della mia anima, che non trova pace neanche nel cercare di trovarne un po', di pace.

Dovrei trovare me stesso, da qualche parte.

E finisco sempre con l'essere costantemente insoddisfatto, a trovare nelle cose, e talvolta nelle persone, quel briciolo di difetto che tutto infastidisce, come una ciglia in un occhio verde, o un sassolino nella scarpa nuova. Fingo di accettare tutto, ma poi in effetti mi ritrovo con l'accetta in mano a fare macelli di corpi, cose e persone.

La mia mente è un campo minato: basta un semplice passo incauto per rovinare tutto.

E penso all'evoluzione, ai milioni di anni che ci sono voluti per creare me e i miei dubbi, i miei errori nel tentativo di farne una giusta. Solo una maledettissima cosa giusta. Quanto spreco di tempo.

A (quasi) 34 anni, sono ancora con i piedi in una pozzanghera d'acqua sporca. Saltellante, divertendomi a vedere che fine fanno gli schizzi e a sentire le urla di mia madre per l'ennesimo pantalone da lavare.

Dovrei crescere e lo farò, prima o poi.

Quanto spreco di tempo.

Jacopo Cerulo - Il diario degli errori (Michele Bravi cover)

lunedì 29 maggio 2017

La vita è dura, quando non sei una strafiga

C'è chi nasce strafiga, bella, con un fisico da urlo e un viso che colpisce, e poi ci siamo noi, quelle anonime, bruttine e con la panza.
Il mio fardello è che sono circondata da donne oggettivamente più belle di me, che attirano l'attenzione degli uomini. Io sono destinata a restare in disparte, almeno che non incontri un uomo che rimanga affascinato dalla parlantina, dal carattere e dalla cultura. È una vita difficile, quella delle donne ordinarie, a noi tocca tenere la borsetta e guardare le altre prendersi gli uomini che vorremmo noi. Abbiamo la pancia, la cellulite, i capelli perennemente in disordine e non sappiamo truccarci, spesso ci nascondiamo per paura del giudizio, non sappiamo sedurre e qualche volta passiamo per rompicoglioni, non perché lo siamo più delle altre, ma solo perché il mondo è meno indulgente con chi è brutto. Sì, sono brutta, ho imparato a conviverci, e spesso me ne fotto, però capita sempre quello che ti paragona a tua sorella o all' amica bellissima, e lì la tua autostima, faticosamente costruita, cade come un castello di carte. Noi bruttine con la panza non possiamo essere fashion, ché la moda è per le magre, non siamo fotogeniche, perché abbiamo il doppiomento, e sticazzi se siamo sveglie, preparate ed intelligenti, non potremo mai competere con le strafighe. Ma in fondo lo vogliamo? Vogliamo essere valutate per la taglia, la messa in piega e i lineamenti? Sì, dannazione, perché siamo anche noi schiave di una società superficiale basata sull' apparenza. Noi ci stiamo male, quando ci mettono a confronto con una donna più bella di noi, ci chiudiamo in bagno a piangere e malediciamo i chili di troppo, le gambe corte, l'incapacità di sistemarci e di uscire carine in foto. La vita non è semplice, per quelle brutte, condannate ad un confronto continuo dal quale escono sempre perdenti. Fottercene? Potremmo, a volte ci riusciamo, ma la ferita della mancata accettazione sanguina ad ogni minimo colpo, ci rende insicure, si infetta e s'incancrenisce, costringendoci a ricostruire con fatica quell'immagine positiva e vincente di noi stesse che ci siamo messe addosso. Non siamo strafighe, non lo saremo mai, ma siamo troppo fragili per dirvi quanto ci fa male il confronto, il senso di inadeguatezza e i giudizi. Fateci un favore: risparmiateci i commenti; non pretendiamo di piacervi, ma almeno evitate di calpestare quel briciolo di autostima che ci siamo costruite.